Cosa è necessario che gli studenti imparino a scuola, le conoscenze applicabili alle competenze che acquisiranno con l’esperienza, o le competenze che permettono trasversalmente di mettere in relazione quelle conoscenze che apprenderanno durante il proprio percorso?
Questa domanda, formulata in maniera più o meno simile, è stata uno degli spunti di riflessione che ha accompagnato costantemente tutti quegli studiosi che si sono occupati (o si occupano) di scuola, di didattica e soprattutto di apprendimento.
Quale senso ha, quindi, apprendere nozioni in maniera del tutto mnemonica, se poi non si ha la capacità di applicarle a contesti di vita reale?
Al contrario, quale senso ha sviluppare competenze se non si hanno quelle conoscenze che permettono di traslare queste competenze stesse in contesti quotidiani?
Immaginiamo di trovarci ad un convegno, in cui si parlerà di una nuova scoperta archeologica: a cosa potrebbe servirmi sapere tutto ciò che riguarda la nuova scoperta, se non sono in grado di comunicare al resto della comunità l’importanza di essa? Al contrario, pensiamo di essere esperti in public speaking: a cosa potrà servirmi conoscere tutte le regole per una comunicazione efficace, se vengono meno i contenuti?
Questa introduzione è stata necessaria per inquadrare il problema della scuola delle conoscenze e della scuola delle competenze, attorno al quale esiste un dibattito ancora oggi molto vivo, ma che incontra molte difficoltà a trovare spazio tanto nelle teorie psicopedagogiche, quanto nella pratica.
Proviamo ad entrare maggiormente nei dettagli.
La scuola della conoscenza è quella che possiamo identificare con la scuola tradizionale. Per molto tempo, infatti, il docente è stato riconosciuto come portatore del sapere, sapere da trasmettere ai propri studenti. Immaginiamo in questo caso gli studenti come dei vasi, che il docente deve riempire. Egli, dunque, poteva fare leva sull’autorità riconosciutagli dal ruolo stesso: unico detentore del sapere nell’aula, unica fonte di conoscenza.
Questa tipologia di scuola, però, si è dimostrata del tutto inefficace; una scuola che mette al centro il docente scapito degli alunni e il suo modo di insegnare a scapito delle modalità di apprendimento degli studenti. Ciò ha spesso allontanato dal mondo dell’istruzione chi non si sentiva “portato”, ma che in realtà semplicemente non era portato ad apprendere in una modalità univoca e non funzionale alle proprie caratteristiche.
La scuola della competenza, invece, si è posta quelle domande riportate all’inizio dell’articolo, sul senso dell’apprendere in maniera del tutto teorica, lontani dall’esperienza. Con il risultato di una scuola che da un lato si slegava dalle dinamiche del passato, ma dall’altro con il pericolo che, rinnegando proprio quel passato, venisse meno anche il ruolo istituzionale della scuola stessa; che quindi venisse perduta la mission formativa ed educativa che aveva per secoli caratterizzato la scuola: apprendere competenze senza apprendere contenuti; ribaltando l’esempio precedente, sarebbe come versare dell’acqua in un vaso forato, poiché viene meno la base teorica del sapere e si svuotano necessariamente anche le competenze.
Per il futuro, di conseguenza, è necessario pensare un modello di scuola nuovo, capace di mettere in seria relazione le conoscenze e le competenze, è necessaria una scuola con il coraggio per assumersi la responsabilità di mettere al centro ogni singolo studente.
Sapere e saper fare possiamo immaginarli come le corde di uno strumento musicale: se una è assente, ne risentirà necessariamente anche l’altra.
Chiaramente la macchina istituzionale della scuola, come il resto d’altronde, è molto grande e lenta. Per fortuna però ci sono alcune realtà che hanno il coraggio di investire in un’idea diversa di scuola.
La strada, senza troppe illusioni, è ancora lunga se non addirittura infinita: è necessario ripensare la scuola in continuazione, dosando conoscenze e competenze nelle giuste proporzioni per ogni studente, che è per definizione il centro della scuola, anche se spesso ci si dimentica di questo.
Autore: Alessio Salpietra, Pedagogista