Chiunque svolga il ruolo di educatore o insegnante sa bene che sgridare i bambini o apostrofarli in modo svalutativo li porta a sviluppare sentimenti di insicurezza, di risentimento e, inevitabilmente, in un corto circuito, a ripetere quegli stessi comportamenti che vengono criticati dall’adulto. In più, i risultati di una recente ricerca condotta dall’Università di Pittsburgh indicano che sgridare i bambini anche solo per scopi disciplinari equivale per certi versi ad abusi verbali, che possono avere effetti deleteri al pari di quelli fisici.

La professione dell’insegnante, per il costante impegno che richiede nell’ambito relazionale, è tra quelle a maggior rischio di stress. Succede di frequente che in una qualsiasi classe della scuola dell’obbligo vi siano alcuni alunni che manifestino con una certa frequenza comportamenti oppositivi, disturbanti, esplosioni di aggressività, disobbedienza, scarsa motivazione. Ma anche alunni che, in un primo momento, non presentano particolari problemi possono iniziare a manifestarne alcuni in seguito all’esposizione ad un clima di classe sfavorevole, in una sorta di contagio collettivo che coinvolge anche l’insegnante.

Quale comunicazione è dunque più efficace, soprattutto in presenza di comportamenti problema degli alunni?

Talora, nel caso di comportamenti inappropriati non particolarmente gravi, ignorare il comportamento problematico dell’alunno e rivolgere l’attenzione ai comportamenti positivi e pertinenti degli altri può essere una strategia vincente nel breve periodo, ad esempio, nell’arco di alcuni minuti o qualche ora.

Se il comportamento persiste o è frequente, non lo si può ignorare indefinitamente. Anche i ragazzi difficili, con difficoltà a controllare i propri comportamenti, hanno un bisogno vitale di sentirsi riconosciuti e apprezzati. In questi casi si può adottare una strategia più utile nel lungo periodo, prestando maggiore attenzione ai comportamenti appropriati dell’alunno problematico fornendo un incoraggiamento positivo, riducendo al contempo all’essenziale i rimproveri.

Come sostiene il libro “Lo Stress dell’Insegnante. Strategie di gestione attiva” (Edizioni Erickson, 1997), con certi alunni particolarmente difficili sussiste il pericolo di abituarsi a prestare loro attenzione solo per rimproverarli, senza notarli nei rari momenti in cui sono tranquilli o attenti. Così facendo purtroppo si rischia di “inquinare” la relazione con l’alunno e di perdere l’occasione di incrementare quel poco di positivo che c’è nel comportamento dell’alunno, omettendo di rinforzarlo adeguatamente con opportuni incoraggiamenti.

Infine, non si tiene conto del fatto che per alcuni alunni problematici il rimprovero può essere un rinforzo, in quanto è una conferma che sono riusciti ad infastidire l’insegnante, proprio come volevano; quindi il rimprovero finisce per peggiorare la situazione.

Per evitare questa situazione, anche il semplice rivolgere lo sguardo verso l’alunno ed interagire brevemente con lui nei momenti in cui il suo comportamento è adeguato, ad esempio, con un sorriso, rappresenta già una forma di incoraggiamento positivo e gratificante. Inoltre, tra le varie strategie utili a contenere e risolvere le situazioni a rischio c’è l’osservazione sistematica, ossia passare da una osservazione generica, etichettante e giudicante a una operazionale, chiara e quantificata.

Col tempo, lavorando con l’incoraggiamento positivo, si può osservare una riduzione seppur minima dei comportamenti poco adeguati al contesto di classe: così la percezione dell’insegnante cambia, aumenta il suo senso di autoefficacia e probabilmente anche la sua relazione con l’allievo.

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